Grano importato: perché non è buono
In questo post si parla di: Grano senza Glifosato | Grano senza micotossine? Quello del Sud Italia | Chi usa grano italiano?
Mi chiedono spesso consigli su quale pasta comprare, se esistono prodotti con solo grano italiano, e se nei nostri prodotti ci sono sostanze come il glifosate, i pesticidi o le micotossine
Ne ho discusso tempo fa con il signor Giulio, che ha curato gli aspetti legali di una ricerca del CNR in merito alla conservazione dei cereali. La nostra discussione è nata in riferimento alle varie trasmissioni televisive (Report, Presa Diretta e così via) che in questi anni hanno trattato lo spinoso tema delle micotossine e del glifosate nel grano.
Il Signor Giulio sostiene che sia inutile battere sulla differenza tra grano italiano e grano importato, quando il problema delle micotossine, per esempio, deriva dal fatto che il grano, estero o italiano che sia, viene comunque stoccato per lunghi periodi e trattato chimicamente. Secondo lui è poi assolutamente inutile coltivare grano di ottima qualità (come quello italiano) se poi si continua a conservarlo (come consente l’attuale normativa in materia) con il metodo dei fumiganti come le famigerate fosfine. Aggiunge inoltre che oggi esistono metodi sperimentati che consentono di evitare detto rischio, essendo possibile conservare perfettamente il grano in maniera del tutto naturale senza dover ricorrere a prodotti chimici cancerogeni sponsorizzati dalla potentissima lobby dei produttori come Bayer, Monsanto ecc.
Le obiezioni di Giulio sono legittime, ma è doveroso fare delle precisazioni. E’ vero che in tutto il mondo sono la chimica è ampiamente utilizzata nelle derrate alimentari, ma vi sono degli aspetti da approfondire. C’è grano e grano. Non tutti i grani sono uguali.
Grano senza glifosato
Sono anni che imperversa la polemica contro il Glifosato, il temibile diserbante utilizzato in tutto il mondo per contrastare le erbe infestanti, sia a livello agricolo che a livello urbano, per esempio lungo le ferrovie o nei centri urbani. La polemica nasce nel 2015, quando l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha inserito il Glifosate nella lista dei probabili cancerogeni (Link alla monografia dell’AIRC).
In Italia da anni le associazioni dei produttori denunciano la preoccupante situazione legata al grano importato, soprattutto dal Canada. Nei paesi nordici, tendenzialmente più umidi e piovosi, la gestione delle erbe infestanti nei campi di graminacee è fondamentale. Ecco perché il grano canadese ha notoriamente residui di glifosate. Stessa cosa vale per il grano ucraino o francese per esempio.
In Italia, il clima più arido e la scarsa umidità, rendono quasi inutile il trattamento con diserbanti.
Ecco uno dei motivi per i quali mi sento di difendere, come quasi sempre faccio in questo blog, il prodotto locale.
Attenzione, non necessariamente nazionale.
Il grano e altri prodotti alimentari esteri certamente non è detto che siano meno pregiati di quelli italiani. Il problema sta nel fatto che, se un prodotto alimentare, più o meno deperibile, viene importato, ha necessità di essere trasportato in cargo per migliaia di chilometri, al freddo, al caldo, per settimane. Poi stoccato in silos presenti nei porti di approdo, per essere poi trasportato su ruota e destinato in altri silos aziendali.
Capite bene che in tutto questo tragitto al prodotto non deve accadere nulla, dato che è molto suscettibile ad infestazioni dovute a insetti, muffe e roditori.
Ora pensiamo ad un grano raccolto e stoccato in loco, trasportato a malapena per qualche ora e depositato per essere poi macinato dopo qualche settimana. Certamente richiederà meno precauzioni.
Poi dobbiamo tenere conto del fatto che i grandi compratori/speculatori del grano solitamente comprano, stoccano e hanno necessità di tenere il prodotto depositato anche per più di un anno, per giocare sull’andamento dei prezzi del mercato e vendere al momento più opportuno. Chi commercia grano è come una banca che, invece di possedere valute, possiede granaglie.
Quindi, non dico che italiano è meglio, ma che ogni paese dovrebbe fare in modo per prima cosa di utilizzare i propri prodotti per il consumo interno. Ma questo è il paradosso del mercato globale, all’interno del quale le merci partono da un posto, fanno giri vorticosi e poi magari tornano anche indietro come prodotto finito.
A fine 2017 la nota trasmissione Report ha portato alla ribalta il problema del grano col glifosato, sensibilizzando non poco l’opinione pubblica (Link alla puntata di Report).
Nello stesso anno la Commissione Europea ha confermato l’autorizzazione all’uso dell’erbicida, basandosi sui dati rassicuranti dell’EFSA, l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare che, contrariamente al giudizio dell’IARC, reputa il glifosate non cancerogeno.
Anche qui sono nate pesanti polemiche a livello europeo dopo un’inchiesta della rivista inglese The Guardian, che ha scoperto come l’EFSA, nel suo rapporto, ha praticamente ricopiato di sana pianta diverse pagine del Dossier presentato dalla Monsanto, cioè l’azienda chimica produttrice.
Intanto l’Italia ne ha vietato comunque l’utilizzo. Ma una grossa fetta della pasta e dei prodotti da forno realizzati nel belpaese sono realizzati con farina di grano estero.
Report ha fatto analizzare dei campioni di pasta delle principali marche. In tutti i campioni è stato rilevato il Glifosate. Certo, sotto i limiti di legge, ma sempre presente!
Barilla: 0,301 mg/Kg
Garofalo: 0,286 mg/Kg
Divella: 0,249 mg/Kg
Rummo: 0,137 mg/Kg
La Molisana: 0,086 mg/Kg
De Cecco: 0,083 mg/Kg
Sono valori più bassi rispetto ai 10 mg/Kg legali, ma che secondo l’Istituto Ramazzini, che da anni studia gli effetti dei residui sulla salute umana, ma assunti costantemente, possono provocare danni sulla salute a lungo termine. Tesi dimostrata attraverso uno studio pilota da loro condotto: Studio Globale sul Glifosato.
Quindi, in Italia vietiamo l’uso del glifosate, però disincentiviamo la coltivazione del grano: pare che l’incentivo a lasciare i campi incolti sia spesso superiore al guadagno dalla vendita del grano stesso. Inoltre, continuiamo a importare grano estero perché quello nazionale non basta a soddisfare il fabbisogno dell’industria.
Grano senza micotossine? Quello del Sud Italia
Oltre al Glifosate, negli ultimi anni si è tanto parlato dei residui di micotossine presenti soprattutto nella pasta- Fra le micotossine (metaboliti tossici di origine fungina), il Deossinivalenolo (DON), prodotto da alcune specie di funghi (muffe) del genere “Fusarium”, è la micotossina più frequente come contaminante del frumento.
Già oltre dieci anni fa, grazie al Progetto MICOCER (“MONITORAGGIO DEI LIVELLI DI DEOSSINIVALENOLO NELLA GRANELLA DI FRUMENTO DURO”), realizzato dal Centro Sperimentale per la Cerealicoltura, è stata svolta un’attività di monitoraggio nazionale sui livelli di contaminazione da DON nel triennio 2006-2008.
Tale azione ha riguardato aziende agricole e centri di stoccaggio (1.087 campioni) e campi sperimentali (1.643 campioni). In particolare, il monitoraggio presso le aziende agricole ha fornito un quadro aderente alla realtà agricola nazionale, con un raffronto fatto sulla base delle tre principali variabili: anno di coltivazione, località e varietà.
Sulla base dei risultati ottenuti è possibile evidenziare la forte influenza soprattutto dell’ambiente di coltivazione e dell’andamento climatico. Si è riscontrato un diverso andamento nel grado di incidenza nell’accumulo di DON procedendo dalle zone del Nord verso quelle del Sud; negli areali meridionali in effetti, i valori di DON sono pressoché trascurabili.
La valutazione del rischio di contaminazione deve tener infatti conto soprattutto dell’ambiente e delle caratteristiche pedo-climatiche proprie delle singole zone di coltivazione. Ci sono caratteristiche pedo-climatiche, quelle della pianura padana o delle pianure del Canada o dell’Ucraina, che permettono maggiori rese produttive. Ma il clima mediterraneo (secco e mite, con bassa piovosità) permette una migliore adattabilità delle graminacee con caratteristiche qualitative superiori dal punto di vista sanitario. Un motivo in più per pretendere materia prima italiana, e soprattutto dell’area meridionale.
Chi usa grano italiano?
Dal 2018 almeno per pasta e riso, è diventato obbligatorio indicare l’origine della materia prima. (Decreto Legge 27 luglio 2017)
Quindi state attenti alle etichette, vicino alla lista degli ingredienti, le aziende devono indicare i paesi di origine del grano da cui deriva la semola di grano duro o il riso stesso.
Non c’è molta chiarezza, visto che a guardare la maggiorparte dei marchi più noti, vi è quasi sempre un mix di grani di varia origine (UE, Non UE, Italia ecc.) in varie percentuali.
Ci sono linee di prodotti che rimarcano chiaramente l’origine 100% italiana e tra l’altro, proprio Barilla, il principale produttore di pasta al mondo, ha annunciato il taglio di oltre il 30% di grano canadese nella propria pasta. E’ una vittoria non solo dei consumatori, ma anche dei produttori nazionali. Chissà che non sia la volta buona per i nostri agricoltori, di ricominciare a seminare grano e di riconoscergli il giusto valore.