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Tutti odiano il latte: fa male o fa bene?

Benefici e controindicazioni di un alimento contraddittorio

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SOMMARIO: Il latte fa male? | Intolleranza al lattosio | La rivoluzione del latte: dal neolitico ad oggi | Latte e allergie | I trattamenti del latte | Quale latte bere? I benefici del latte crudo | Il latte provoca il cancro? | Il latte protegge dal tumore al colon? | Il latte può causare il cancro alla prostata? | Il latte provoca il tumore al seno? | Eppure pare che latte e formaggi non provochino infiammazione | Le caseine provocano muchi? | Il latte previene l’osteoporosi? | Osteoporosi: nessuno studio ha dimostrato che il consumo di latte abbia proprietà preventive | Il latte non fa bene alle ossa | Cosa si consiglia per migliorare la salute delle ossa? | La sedentarietà è la causa principale dell’osteoporosi | Il latte come causa dell’autismo? | Come mai negli ultimi 50 anni il latte è diventano un nemico della salute?

Ero davvero piccolo, avrò avuto 4 o 5 anni, era la fine degli anni ’70.

D’estate ci trasferivamo nella casa in campagna, giù in Puglia, e ricordo mia madre che lasciava sulle scale di casa una bottiglia vuota e qualche lira.

Durante la mattinata passava il “lattaio”, riempiva la bottiglia con il latte fresco munto la mattina, raccoglieva le quattro lire e continuava il giro con la sua bici.

Rivedo nella mia mente quell'immagine come in un film in bianco e nero. Erano i tempi in cui ancora bevevi il latte fresco della campagna, un latte crudo, bollito appena a casa, prima di essere consumato. E siamo cresciuti senza allergie e altre menate delle quali oggi giorno il latte è colpevole.

Il latte fa male?

Allergie acute, intolleranze croniche, conseguenze silenziose come l’aterosclerosi, i tumori, la resistenza insulinica, diabete, problemi di permeabilità intestinale, otiti, tonsilliti, coliche, sinusiti, orticarie, disturbi al sistema vascolare, osteoporosi, disturbi ormonali.

Sono tutti esempi di patologie per le quali sembra comprovata una correlazione con il consumo di latte e latticini.

Ora non voglio iniziare a tediarvi illustrandovi tutti i problemi e le presunte malattie causate dal consumo di latte e derivati; per questo ci sono già vegani, naturopati e rappresentanti delle pratiche mediche alternative.

Io stesso per almeno una decina d’anni, influenzato dalle correnti naturopatiche e detossificanti, ho abbandonato il latte e ridotto al minimo formaggi e latticini, pur essendone enormemente goloso.

Dopo la mia malattia, ho capito che tanta intransigenza e restrizione, è solo un inutile esercizio di ottusità.

Il latte è difatti un alimento contraddittorio e spesso può essere associato a diverse problematiche.

In ogni caso molte affermazioni sono infondate e fuorvianti. Con questo articolo, partendo da un’ottima pubblicazione della Fondazione Veronesi - Il latte sì o no? Cosa dice la scienza - voglio solo fare chiarezza su cosa c’è di vero e di falso in tutte le affermazioni sul latte.

Cosa c’è di vero? Quali evidenze scientifiche vi sono a supporto di tali affermazioni? Seguitemi, risponderò a tutte queste domande con l’aiuto della scienza ufficiale.

Intolleranza al lattosio

Le 2 principali obiezioni che oggi vengono poste al consumo del latte, sono:

· la specie umana, al contrario di tutte le specie animali, è l’unica che continua a bere latte anche dopo lo svezzamento;

· inoltre consuma latte derivante dalle altre specie animali.

Difatti l’uomo è l’unico tra i mammiferi in cui almeno il 35% della popolazione mondiale conserva ancora l’enzima “lattasi”, che permette la digestione del lattosio, lo zucchero del latte. In quasi tutte le altre specie viventi che si nutrono di latte, la lattasi viene bloccata dopo lo svezzamento.

Anche nell’uomo però la distribuzione della popolazione tollerante è molto disomogenea:

in Europa la maggiorparte della popolazione tollera bene il lattosio, ma con notevoli differenze che vanno da circa l’89/96% di tolleranti tra gli scandinavi e gli abitanti del Regno Unito, fino a percentuali inferiori man mano che si scende nei paesi del mediterraneo. Ad esempio in Sardegna si registra solo il 15% di tolleranti il lattosio.

In Asia o tra i nativi americani, il consumo di latte da sempre non è un’abitudine, difatti sono rari i casi di chi tollera il latte da adulto. In India si passa da una percentuale del 63% di tolleranti nelle montagne del nord del paese, fino ad arrivare al 23% nelle più calde regioni del sud.

In Africa la lattasi persiste in tutte quelle tribù da sempre dedite alla pastorizia, mentre altre tribù non tollerano il lattosio, pur vivendo in aree quasi prossime.

Come mai tutte queste differenze?

La rivoluzione del latte: dal neolitico ad oggi

I genetisti-evoluzionisti hanno sviluppato un’ipotesi sostenuta da ricerche antropologiche e genetiche. Secondo questa ipotesi, l’uomo primitivo non riusciva a bere il latte in età adulta. Solo nel neolitico, circa 10mila anni fa, l’uomo ha cominciato a consumare il latte. Da quando cioè c’è stata la rivoluzione agricola e l’uomo, da cacciatore-raccoglitore nomade, si è man mano trasformato in agricoltore-allevatore stanziale.

Alcuni antropologi hanno pertanto scoperto che alcune tribù di allevatori del medio-oriente hanno cominciato a trasformare il latte in yogurt e formaggio, attraverso la fermentazione naturale. In questi prodotti il lattosio era ridotto o quasi totalmente consumato dalle attività fermentative. In questo modo l’uomo cominciò a mangiare i derivati del latte.

Pare quindi che in quel periodo, circa 7500 anni fa, alcune popolazioni di agricoltori-allevatori, stanziatisi in centro Europa svilupparono, dopo una mutazione genetica casuale, la capacità di produrre l’enzima lattasi.

Questa è la spiegazione delle enormi differenze tra le diverse zone.

Nei luoghi freddi del nord, dove per mesi non vi era disponibilità di vegetali, le fonti nutritive principali venivano prese dal latte. Questo spiega come mai da nord a sud vi è una differente tolleranza del lattosio in funzione dell’abitudine di consumare latte quotidianamente. E’ un normale processo di adattamento, mutazione e selezione naturale.

Per chi volesse approfondire l’argomento può leggere l’articolo completo comparso sulla rivista Nature nel 2013: Archaeology: the-milk revolution.

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Latte e allergie

Uno studio pubblicato anni fa su The Lancet nel 2001 (qui il pdf) ha segnato la storia nell’ambito della ricerca immunologica sul latte e i suoi componenti. Questo studio ha messo in evidenza come i bambini svizzeri e austriaci che vivono nelle fattorie e bevono latte crudo, soffrivano meno di asma, allergie primaverili, allergie agli acari e alla forfora di gatto.

In pratica i bambini che nei primi mesi di vita entravano in contatto col latte crudo o vivevano nei pressi di fattorie, sviluppavano dei meccanismi di risposta immunologica contro determinate allergie.

Al contrario, i bambini che vivevano in città e non avevano alcun contatto con stalle o latte di stalla, sviluppavano più facilmente allergie.

Il fattore di protezione associato al consumo di latte crudo, può derivare da ingestione di componenti microbiche non infettive, con cambiamenti della flora intestinale.

LEGGI ANCHE: Yogurt con probiotici: quale scegliere, cosa contiene e perché fa bene

I trattamenti del latte

I problemi causati dal latte vaccino sono spesso dovuti alle trasformazioni produttive che subisce.

Per le esigenze di conservazione il latte viene sottoposto a trattamenti termici simili alla bollitura:

  • La Pastorizzazione (72-75 gradi per 15-20 secondi): il latte si conserva fino a sei giorni a temperature di frigorifero (latte fresco pastorizzato);

  • La Sterilizzazione UHT: si sottopone il latte ad una temperatura di 135 gradi per due secondi, seguiti dal rapido raffreddamento e confezionamento in ambiente sterile. E’ il latte a lunga conservazione, fino a 3 mesi a temperatura ambiente;

  • Microfiltrazione: il latte passa attraverso speciali filtri microporosi che trattengono le cellule batteriche e particelle di grasso. Il grasso viene pastorizzato per eliminare residui di cellule batteriche e ri-aggiunto al latte. Si ottiene il latte microfiltrato, che dura anche qualche giorno in più rispetto al pastorizzato.

Questi processi industriali trasformano alcuni componenti del latte, alterando gli effetti che essi poi hanno sull’organismo.

Quale latte bere? I benefici del latte crudo

Il latte crudo è ricco di una miriade di enzimi che ne favoriscono la digestione e l’assimilazione. Questi enzimi sono altamente sensibili alle temperature, e nel latte industriale scompaiono.

Per esempio la Fosfatasi alcalina è l’enzima che fissa il calcio alle ossa. Nel latte industriale (pastorizzato o sterilizzato) non c’è più. Ecco perché il luogo comune sull’assunzione di latte per prevenire l’osteoporosi è falso! Lo spiego meglio appena più avanti in questo articolo se avrai la pazienza di seguirmi.

La lattasi è l’enzima responsabile della digestione del lattosio, che viene demolito nei due componenti, glucosio e galattosio. Ecco spiegato l’aumento delle intolleranze al lattosio nell’era moderna.

Infine nel latte crudo c’è anche la lipasi, un enzima che permette la parziale digestione dei grassi del latte.

Con questo non voglio fare allarmismo e dirti di smettere subito di mangiare latte e latticini.

Come in ogni cosa della sfera umana, sono gli eccessi la causa dei problemi. E dagli anni ’60 in avanti, l’industrializzazione degli alimenti e l’aumento della frequenza di consumo di latticini (compresi tutti i derivati del latte come latte in polvere, proteine del latte, panna ecc. che inconsapevolmente spesso consumiamo come ingredienti di dolci, biscotti, prodotti da forno vari, piatti pronti ecc.) ha portato a questi eccessi.

E da un eccesso si passa all’altro. Ed è arrivata l’era delle diete…e i formaggi sono diventati il bersaglio di un salutismo estremo e malinformato.

Il latte provoca il cancro?

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La demonizzazione del latte è cominciata dal 2005 con l’uscita del libro “The Cina Study”, una raccolta di studi epidemiologici svolti dalla Cornell University, dall'Accademia cinese di Medicina preventiva, dall'Accademia cinese di Scienze mediche e dall'Università di Oxford, iniziati nel 1983 e supervisionati dal nutrizionista Colin Campbell.

Lo studio ha coinvolto migliaia di cinesi, correlando le abitudini alimentari della popolazione con la loro risaputa scarsa incidenza di malattie cardio-vascolari e neoplastiche. In pratica lo studio era partito sull’ipotesi delle cosiddette “malattie dell’abbondanza”, come infarto, ictus, cancro, diabete ecc., molto frequenti in occidente, mentre in oriente avevano un’incidenza notevolmente più bassa.

Investigando le abitudini alimentari e lo stile di vita della popolazione cinese, furono posti sotto accusa carni, latte e latticini e tutte le proteine animali. Tutti alimenti non presenti nelle abitudini alimentari degli orientali.

In realtà il China Study è molto controverso, ed ha subito negli anni delle revisioni scientifiche che ne contestano, non tanto i risultati, ma la metodologia di correlazione dei dati.

In parole povere, si evidenzia una manipolazione dei dati, cercando di far apparire un legame di causa-effetto a livello statistico. Negli studi clinici ed epidemiologici invece vengono impostati criteri molto più rigorosi, perché molto spesso non vi è un meccanismo di causa-effetto diretto, ma vi possono essere diversi altri fattori concomitanti come causa.

Anche lo studio EPIC, di cui abbiamo accennato in precedenza, ha dimostrato l’incidenza del consumo di proteine e grassi animali con alcuni fattori che stimolano la crescita delle cellule tumorali. Non si può affermare che il latte o un altro alimento provocano il cancro. E’ più corretto dire che, tra i tanti fattori di rischio, un eccesso nel consumo di proteine di origine animale, può favorire lo sviluppo delle cellule tumorali.

Il latte protegge dal tumore al colon? Vero

Pare che latte e derivati del latte, soprattutto grazie alle proteine del siero del latte e ai derivati fermentati (yogurt e alcuni tipi di formaggi), svolgano una certa azione protettiva nei confronti del tumore al colon retto e della vescica. Probabilmente per via dell’influenza sulla microflora microbica positiva da parte dei lattobacilli introdotti tramite i derivati del latte, soprattutto i fermentati bioattivi. (Fonte: Annals of Oncology-2017)

Leggi a proposito: Probiotici: quale scegliere, cosa contiene e perché fa bene

Il latte può causare il cancro alla prostata? Vero

In una metanalisi del 2014 condotta dai Dipartimenti di Salute Pubblica della Norvegia e dell’Università di Londra e dal centro epidemiologico dell’Università di Leeds (UK), da tutti gli studi scientifici presi in considerazione, è emerso quanto segue:

alti livelli di latticini, latte, latte magro, formaggio e calcio totale, dietetico e caseario, possono aumentare il rischio totale di cancro alla prostata.

I risultati divergenti per i tipi di prodotti lattiero-caseari e le fonti di calcio suggeriscono che oltre al grasso e al calcio, ci siano altri componenti del latte (le proteine?) che possono aumentare il rischio di cancro alla prostata (Fonte: American Journal of Clinical Nutrition – 2014)

In pratica, monitorando 21.660 partecipanti per 28 anni, è stato rilevato un aumento del rischio di cancro alla prostata per coloro che consumavano più di 2,5 porzioni di latticini al giorno, rispetto a quelli che consumavano mezza porzione o meno al giorno.

Il latte provoca il tumore al seno? No, però incide sulle recidive

Per quanto riguarda l’influenza del latte sul cancro al seno, ci sono indicazioni ancora poco chiare. Secondo alcuni studi, il consumo di latte e latticini, proteggerebbe dal cancro al seno per via della presenza di Calcio e vitamina D. Ma una metanalisi pubblicata sul Journal of Breast Cancer – 2015, che ha analizzato 27 diversi studi scientifici e clinici, ha evidenziato risultati contraddittori.

Probabilmente perché lo sviluppo del cancro al seno ha concause di natura genetica e ambientale oltre che puramente alimentare.

Poi la funzione protettiva dipende dall’età e dal tipo di prodotto lattiero-caseario.

Per esempio sono più che altro i prodotti fermentati come gli yogurt contenenti lactobacillus acidophilus e bifidobatteri, i prodotti con potere protettivo.

Invece, è significativamente dimostrata la correlazione tra il consumo di latte e caseari e il rischio di recidiva di tumore al seno. L’Istituto Tumori di Milano ha completato diversi studi in tal senso.

Pare che nelle assidue consumatrici di latte e latticini, per via degli estrogeni contenuti nel grasso del latte e dell’aumento del fattore di crescita IGF-1, questi influenzino i geni BRCA che possono essere mutati nel carcinoma del seno. (Fonte: Bevete più latte; Epidemiologia&Prevenzione-2013)

Ed è stato da poco completato un altro studio da parte dell’Istituto Tumori di Milano, pubblicato nel 2018 (Fonte: PubMed - 2018): nelle conclusioni dello studio, si fa notare come il cancro al seno sia un processo complesso, non lineare, che dipende da un gran numero di fattori genetici e metabolici interconnessi da affrontare con una strategia preventiva con diverse sfaccettature.

Le donne con mutazioni BRCA nel gruppo di intervento, che hanno seguito una dieta mediterranea moderatamente restrittiva in termini di proteine animali (latte e carne e derivati), hanno riscontrato livelli serici significativamente più bassi di fattore di crescita IGF-1.

Hanno inoltre ottenuto miglioramenti significativi nei parametri dietetici, metabolici e antropometrici, rispetto alle donne che hanno seguito una normale dieta. Gli studiosi ritengono che sia giunto il momento di offrire raccomandazioni alle donne geneticamente ad alto rischio per il cancro al seno, in merito alle loro scelte di vita.

Eppure pare che latte e formaggi NON provocano infiammazione

Abbiamo insomma capito che prima di demonizzare un alimento, bisogna avere le prove che ci siano correlazioni dirette di causa-effetto. E’ chiaro che il latte essendo un alimento proteico, può stimolare la crescita cellulare (via fattore di crescita IGF-1). Ma ciò non basta a scatenare un tumore.

Ora noi sappiamo che questo tipo di malattie degenerative si sviluppano in presenza di diversi tipi di infiammazione cronica che solitamente deriva da un accumulo di tossine a seguito di cattive abitudini di vita.

Pertanto dei ricercatori delle Università di Oslo (Norvegia) e Granada (Spagna) a maggio 2019 hanno terminato un review (Milk and Dairy Product Consumption and Inflammatory Biomarkers: An Updated Systematic Review of Randomized Clinical Trials), cioè una revisione di 16 studi clinici condotti tra il 2012 e il 2018 su individui, sia sani che obesi o con sindrome metabolica. L’obiettivo era quello di individuare l’effetto di latte e derivati sui livelli nel sangue di specifici indicatori dell’infiammazione come PCR o proteina C reattiva, interleuchina 6, IL-6, TNF-alfa e adiponectina.

Risultati della revisione?

I 16 studi clinici dimostrano che, in chi consumava latte e latticini, senza particolari restrizioni, non si evidenziava alcun aumento degli indicatori dell’infiammazione. Al pari di chi non ne consumava o, ne apportava quantità minime.

Addirittura, alcuni di questi studi, hanno dimostrato che il consumo moderato di latte e derivati (in particolare i fermentati) sembrano avere un’azione favorevole sui parametri dell’infiammazione, il che spiegherebbe le associazioni protettive rilevate in molti studi osservazionali tra il consumo di questi prodotti e il rischio di eventi cardio- e cerebro-vascolari.

Ancora non c’è una risposta certa da parte della comunità scientifica.

Certo è che alcuni acidi grassi come l’acido palmitico, sono in grado di attivare il sistema immunitario innato.

Altri acidi grassi a corta e media catena sono invece fondamentali per lo sviluppo del microbiota e sembrano avere un ruolo preventivo nel rischio cardio-metabolico.

Per chi vuole approfondire può leggere l’articolo del blog Ruminantia.it che traduce in italiano la revisione di cui parlo. Ecco il link: Consumo di latte e latticini e biomarker dell’infiammazione: una review sistematica aggiornata di trial clinici randomizzati.

Le caseine provocano muchi?

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Sempre sui canali di medicina alternativa, da anni viene diffusa la credenza che il latte aumenti la produzione di muco nell’intestino e nelle vie respiratorie con conseguenti malattie infiammatorie. Nessuno studio scientifico ha mai dimostrato tutto questo.

La credenza nasce in realtà da un dato di fatto: una delle caseine presenti nel latte, durante la digestione, produce una sostanza, la beta-casomorfina-7 (BCM-7), che stimola la produzione di muco nell’intestino.

La BCM-7 è un dipeptide rilasciato durante la digestione di una particolare caseina presente solo nei bovini di razze europee (variante genetica A1). A differenza di alcune razze bovine presenti in altri continenti, che hanno conservato la variante A2 che non rilascia la BCM-7.

Qualche anno fa, questa scoperta fatta in Nuova Zelanda, dove vi è buona parte dei bovini con variante A2, ha suscitato grandi polemiche in quanto il latte A1 (cioè la quasi totalità del latte prodotto nel mondo), è stato accusato di contribuire a diverse malattie infiammatorie, non solo di tipo intestinale e respiratorio, ma anche diabete e malattie cardio-vascolari.

Dopo vari studi e revisioni, non sono state verificate prove di causa-effetto in merito.

Ora però vi è un crescente numero di prove a dimostrare che la BCM-7, derivata dalla caseina A1-beta, possa essere una delle cause della sindrome da intolleranza al latte.

Diversi studi conclusivi riportano come il peptide oppiaceo BCM-7 abbia una gamma di effetti sulla motilità gastrointestinale, pro-infiammatori e immunomodulatori.

È degno di nota il fatto che in questa Revisione pubblicata su Nutrients – 2015, sono state identificate differenze significative nella consistenza delle feci in un gruppo di persone che non avevano una precedente conoscenza dell'intolleranza al latte. Probabilmente questi effetti potevano essere causati da fattori pro-infiammatori e da effetti sul tempo di transito gastrointestinale.

Data la specificità della beta-caseina A1 nei bovini di origine europea, appare evidente la spiegazione del motivo per cui alcune persone riferiscono di non digerire il latte bovino, ma di poter tollerare il latte di pecora e capra che contengono beta-caseina di tipo A2 e non A1.

Questo potrebbe spiegare anche il motivo per cui diverse persone, anche bambini, (pur non allergiche al latte) riferiscono di provare sollievo quando smettono di consumare latte.

Forse le allergie e intolleranze al latte sono dovute ad un difetto di permeabilità intestinale, o al fatto che le caseine e derivati come la BMC-7, provocano infiammazione e rilascio di istamina, con conseguente produzione eccessiva di muco a livello respiratorio. Sono comunque necessari ulteriori studi per confermare queste osservazioni.

In seguito a queste scoperte, dalla Nuova Zelanda fino agli USA, si stanno diffondendo fattorie con allevamenti di razze originarie con variante A2.

Questo è in ogni caso un processo di conversione molto complesso, che cozza con le logiche produttive attuali: da decenni infatti, si selezionano razze di bovini A1, più consoni all’allevamento fisso e ad una iper-produttività dettata da esigenze economiche…ma non di qualità e salute.

Latte A2 prodotto da mucche con beta-caseina tipo A2

l latte previene l’osteoporosi?

Bevete più latte perché fa bene alle ossa! Questo è il mantra che è stato propagandato per decenni.

Il motivo sta nel fatto che il latte contiene grandi quantità di calcio, un minerale fondamentale per l'architettura delle cellule ossee.

Il latte è effettivamente l’alimento con il maggior quantitativo in assoluto di Calcio, per questo è sempre stato consigliato per la salute delle ossa.

Solo recentemente si è venuti a conoscenza dei meccanismi di interazione tra dieta e processi di mineralizzazione e de-mineralizzazione delle ossa. Ma buona parte del mondo medico, come anche biologi e nutrizionisti, ignora questi meccanismi. O fa finta di non conoscerli.

Osteoporosi: nessuno studio ha dimostrato che il consumo di latte abbia proprietà preventive

Attraverso lo studio EPIC - che segue 500mila europei dagli anni '90, monitorando le loro abitudini alimentari, in 9 anni sono stati rilevati 802 casi di frattura all'anca. L'incidenza di queste fratture aumentava linearmente con l'incremento del consumo di carne, mentre diminuiva linearmente con il consumo di vegetali.

Tutte le verdure contengono infatti minerali indispensabili alle ossa, come Calcio, Magnesio e Potassio, e la vitamina K.

Il consumo di latte e derivati, invece, non risultò correlato alle fratture ossee, perché l'azione acidificante delle proteine ​​del latte, che incide sulla de-mineralizzazione del calcio dalle ossa, viene compensata dal grosso quantitativo di Calcio presente in questi alimenti. (Fonte: Bevete più latte; Epidemiologia&Prevenzione-2013)

Questo chiaramente non significa che il latte faccia bene alla salute delle ossa. Un’alimentazione sbilanciata su latte e formaggi, non apporta calcio disponibile per il tessuto osseo.

Come tutte le proteine ​​di origine animale consumate in eccesso, anche quelle del latte, una volta digerite e metabolizzate, mandano nel circolo delle sostanze acidificanti, i corpi chetonici, che abbassano il ​​pH cellulare. Siccome il nostro corpo è una macchina perfetta, in questi casi si libererà il calcio dalle ossa, che andrà nel circolo sanguigno per tamponare quelle sostanze acidificanti, che altrimenti si accumulerebbero nel liquido cellulare. Questo spiega perché, chi consuma tanto latte e latticini, ha comunque una importante incidenza di fratture ossee.

In uno screening mammografico che ha interessato 90mila donne svedesi (Swedish mammographic cohort), monitorate per 10 anni, le fratture ossee registrate erano considerevolmente maggiori in donne che consumavano abitualmente 3 o 4 bicchieri di latte al giorno, rispetto a chi ne consumava solo uno (Link allo studio).

Ma la cosa davvero interessante è che nessuno studio ha mai dimostrato che il consumo di latte e derivati prevenga in qualche modo l’osteoporosi.

Il latte non fa bene alle ossa

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Un'altra prova che dimostra il pregiudizio errato che quasi tutti abbiamo sulla bontà del latte nel proteggere le ossa, ci arriva dalla Scuola di Sanità pubblica di Harvard, che in una nota dice chiaramente:

"Veramente la raccomandazione di bere latte si traduce in ossa più robuste? La risposta è NO, e la raccomandazione standard del Ministero dell'Agricoltura americana (USDA), di bere almeno 3 bicchieri al giorno di latte, non è indipendente da pressioni industriali e non ha basi scientifiche "(Fonte - Calcium: What’s Best for Your Bones and Health?)

In questo stesso documento, esaminando un certo numero di studi sull'associazione calcio-fratture ossee, non si riesce a dimostrare una vera dose raccomandata giornaliera. Anzi, viene anche confutata l'attuale raccomandazione di assunzioni giornaliere molto elevate di Calcio, intorno ai 1000/1500 mg, raggiungibili solo con consumo di grosse porzioni di latte e derivati ​​o di integratori.

In pratica da Harvard ci stanno dicendo che quelle dosi raccomandate sono eccessive o addirittura inutili. Ma come fanno a dirlo?

Semplicemente, è stato riscontrato che per esempio in India, Giappone, Perù e buona parte dei paesi orientali, dove il consumo di latte è marginale e le assunzioni giornaliere di calcio derivano solo dai vegetali, fratture ossee e osteoporosi sono eventi molto remoti.

Insomma, basta non fermarsi ai pregiudizi, per arrivare a comprendere il perché di tutto.

Fino agli anni '50 le dosi raccomandate di Calcio erano intorno ai 400/500 mg, ricavabili tranquillamente dalle verdure e dai legumi. Negli ultimi decenni, le dosi raccomandate sono state triplicate, senza il supporto di basi scientifiche.

"Un modo indiretto per consigliarci gli integratori?”

La frase della Scuola Pubblica di Harvard dice tutto: “…non è indipendente da pressioni industriali e non ha basi scientifiche”

La sedentarietà è la causa principale dell’osteoporosi

Tornando allo studio della Scuola di Salute pubblica dell’Harvard University ( Calcium: What’s Best for Your Bones and Health?), si comprende come la costruzione del tessuto osseo dipende dagli stimoli meccanici, cioè dal movimento e dall'attività fisica attraverso le quali sollecitiamo la struttura ossea.

Quindi è proprio la vita sedentaria a influenzare la perdita di struttura ossea e l’insorgere dell'osteoporosi.

La struttura ossea non è una massa fissa e immobile, ma è un reticolo di fosfati di calcio che si distruggono e si ricostruiscono in una percentuale che va dal 2 al 5% l'anno. L'osso è quindi una massa viva e questa vitalità e rinnovamento dipende dagli stimoli meccanici.

Il calcio è un elemento fondamentale in questo processo, ma i fattori influenzanti sono anche e soprattutto altri.

Cosa si consiglia per migliorare la salute delle ossa?

Secondo i ricercatori di Harvard bisogna seguire solo alcuni semplici consigli:

  1. Fare esercizio fisico regolare - l’attività fisica stimola l’acquisizione e la conservazione della densità ossea nel tempo;

  2. Assumere abbastanza Calcio - come abbiamo detto in precedenza, mangiare tutti i giorni dosi di verdure e legumi, assicura le giuste quantità di calcio;

  3. Assumere vitamina D - la vitamina D è non meno importante del calcio, in quanto ne favorisce l’assimilazione a livello intestinale e il riassorbimento a livello renale. Oltre che con gli alimenti (soprattutto pesce), la vitamina D viene sintetizzata con l’esposizione al sole;

  4. Assumere vitamina K - la vitamina K si trova principalmente nelle verdure a foglia verde come gli spinaci e la famiglia dei cavoli. Ha un ruolo fondamentale nella regolazione del calcio nella formazione delle ossa;

  5. Attenzione a caffeina e cola - un consumo eccessivo di caffè, oltre 3/4 tazze al giorno, tende a demineralizzare il calcio dalle ossa; nello stesso modo, alcuni studi hanno rilevato un’importante associazione tra il consumo costante di Coca Cola e la diminuzione della densità ossea, per via dell’alto contenuto di fosforo che influisce negativamente sulla regolazione del calcio.

Il latte come causa dell’autismo?

Anche in questo caso il colpevole sembrava essere la caseina e la sua variante beta-casomorfina-7, per via delle sue proprietà oppioidi e dell’influenza sul sistema nervoso centrale. Questa associazione partiva dal presupposto che l’intestino, in quanto largamente innervato, sarebbe ascrivibile ad un secondo cervello.

Alcuni studi hanno rilevato una correlazione tra autismo e alta permeabilità intestinale. In realtà non esiste nessuna dimostrazione di causa-effetto tra consumo di latte e autismo.

Le cause dell'autismo non sono completamente spiegate, ma è chiaro che lo sviluppo della malattia è influenzato da fattori genetici e autoimmuni, disordini metabolici e cambiamenti epigenetici a seconda dei fattori ambientali e nutrizionali. Pertanto i ricercatori, negli ultimi anni, si sono molto concentrati sugli studi metabolici.

Pare infatti che la modificazione della dieta, eliminando le caseine (come anche altre proteine come il glutine), abbia effetti nel miglioramento dei sintomi (vedi questa revisione pubblicata su Nutrients – 2019). Ma vanno ancora approfonditi molti altri meccanismi che possano spiegarne le cause.

Come mai negli ultimi 50 anni il latte è diventano un nemico della salute?

Con questo articolo non voglio fare terrorismo sul consumo del latte.

Io sono un consumatore di latticini e formaggi, ma cerco di moderarne l’assunzione proprio per via dell’attività acidificante e demineralizzante.

Ora abbiamo diverse prove che dimostrano l’inconsistenza delle raccomandazioni in merito a latte e derivati al fine di assumere calcio per il bene delle ossa.

Latte e formaggi, come tutti i prodotti di origine animale, per via del tipo di grassi e proteine, apportano colesterolo, sono pro-infiammatori e soprattutto influenzano la produzione del noto fattore di crescita IGF-1; quest’ultimo stimola la crescita e lo sviluppo cellulare, in senso buono (perché abbiamo bisogno di crescere, soprattutto bambini e adolescenti) e in senso negativo, perché stimolano la proliferazione anche delle cellule impazzite (tumori).

Pertanto la raccomandazione è sempre la stessa: non criminalizzare il latte e i suoi derivati, ma non abusarne, soprattutto se non si è più adolescenti e non serve più crescere.

Poi è anche vero che aumentano i casi di intolleranti al latte, di persone che accusano problemi di natura infiammatoria, mal digestione, gonfiore ecc. In questo caso mi viene da pensare che negli ultimi 50 anni sono anche cambiate molte cose:

  • Abbiamo un intestino più sensibile perché contaminato da farmaci, antibiotici, cibo spazzatura;

  • Il latte prodotto nelle attuali stalle industriali non è quello di 50 anni fa; le vacche non pascolano, sono nutrite con mais, soia e mangimi iperproteici per far si di aumentare la produttività!

  • Per sanare gli inevitabili malanni che subentrano alle deboli vacche da allevamento fisso in stalla, si ricorre ad antibiotici vari e anche ormoni;

Insomma, è cambiato il mondo.

Quello che si evince da questa revisione di studi scientifici è che certamente i prodotti fermentati come alcuni yogurt, o meglio, latti fermentati, o diversi formaggi fermentati e stagionati, possono essere l’alternativa migliore.

La fermentazione e la maturazione dovuta a diverse specie di lattobacilli, provocano diverse trasformazioni in ambito proteico (parziale digestione e spezzettamento dei gruppi proteici e caseinici), del lattosio e di alcuni grassi. Queste trasformazioni aumentano il valore biologico dei derivati del latte.

Così come il latte di pecora e capra e loro derivati, hanno un valore biologico nettamente superiore. Perché?

Avete mai visto allevamenti in stalla di pecore e capre? Impossibile! Ovini e caprini devono pascolare, mangiano erba e non mangimi. Appunto perché economicamente svantaggiosi rispetto ai bovini, non sono mai stati fatti investimenti di selezione genetica spinta e il loro latte è ancora come 50 anni fa.

Non ci avevi mai fatto caso eh?

Il latte non è poi il veleno di cui tanta parte del web parla. In ogni caso, il miglior modo di assumere i nutrienti del latte, è quello di consumarlo fermentato….yogurt greco, kefir o altri prodotti fermentati. Oppure prediligere i formaggi ottenuti da latte crudo.

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Quali sono i formaggi più magri?

Yogurt greco fatto in casa con i fermenti del Kefir

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